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TERRA E LIBERTÀ
(LAND AND FREEDOM)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 maggio 1995
 
di Ken Loach, con Ian Hart, Rosana Pastor (Gran Bretagna - Spagna, 1995)
 
Dopo RAINING STONES e lo sconvolgente LADYBIRD, uno degli ultimi cineasti "di sinistra" in circolazione è andato a girare per la prima volta lontano da quell'ambiente britannico scrutato per anni con impareggiabile rigore politico e poetico: offrendoci sulla Guerra di Spagna un film come sempre semplicissimo e complesso.

Semplicissimo, perché così schematico da sembrare a prima vista addirittura povero: un giovane disoccupato inglese parte ad arruolarsi, in quel mitico 1936, in una delle piccole formazioni del POUM. Il movimento operaio di unità marxista, descritto da George Orwell in "Omaggio alla Catalogna" al quale si riferisce il film, formato da dissidenti del partito staliniano, ex-trotzkisti, anarchici o sindacalisti, poi disciolto e messo al bando nel 1937, per iniziativa del Partito comunista spagnolo. Per David (Ian Hart) come per tutti i suoi compagni, l'istruzione è più che sommaria, la trincea giunge immediatamente, i fucili sono addirittura della fine dell'Ottocento, le prime scaramucce sono superate facilmente, l'entusiasmo è alle stelle; ed anche se il cibo scarseggia c'è tempo per dare un'occhiata alle militanti più carine o fare amicizia con il coro di giovani idealisti giunti da mezzo mondo.

Complesso. Perché i fascisti che stanno oltre le linee, Loach non ha nemmeno bisogno di mostrarli, e non solo per ristrettezze di budget: per lui, essi rappresentano un'entità quasi astratta, una minaccia ovvia, una condizione inestinguibile. E perché TERRA E LIBERTA' non è un film sulle lotte antifasciste: ma sulle contraddizioni, le ambiguità che governano da sempre coloro che dovrebbero essere uniti nella lotta contro il fascismo.

Al primo contrasto un po' serio, il regista inglese chiarisce le cose. E lo fa con quel suo modo inimitabile di mettere uno di fronte all'altro i suoi attori, di filmarli mentre discutono, si affrontano, si legano (qui, oltretutto, in uno straordinario melting pot plurilinguistico): con quella verità, quella immediatezza magica, quel modo tutto suo di farli parlare come coloro che ci stanno ogni giorno attorno. È uno dei tipici momenti del cinema di Loach, ed ha il merito di chiarire impeccabilmente quanto altrimenti avrebbe richiesto un noioso commento: gli amici di David non sono degli antifascisti, ma dei pre-rivoluzionari. Ed è il tema che caratterizza la superficie del film: il POUM, gli anarchici, i militanti, i sindacalisti pensavano che la guerra contro i franchisti dovesse essere una rivoluzione: e che il primo atto di questa avrebbe dovuto basarsi sulla ridistribuzione delle terre ai contadini, sulla collettivizzazione. Mentre coloro che pur combattevano accanto a loro, i socialisti, i repubblicani, i membri del Partito Comunista (o stalinista, come subito adottato nel film) seguivano le idee, meglio le istruzioni di Mosca: non eccedere nelle richieste rivoluzionarie per calcolo politico, per non spaventare i governi Occidentali con i quali Stalin stava allora concludendo l'alleanza antinazista.

Ma al vero cuore del film, al tema più intimo di TERRA E LIBERTA' giungeremo al solo soprassalto drammaturgico del film. Assistendo alla messa in pratica della teoria precedente: ridotti a poche decine di coraggiosi superstiti, malnutriti e scoraggiati, essi verranno affrontati e disarmati addirittura dalle truppe lealiste, quelle che avrebbero dovuto essere loro alleate. È la conclusione ben nota di una lotta fratricida spesso citata ad esempio. ma che Loach sa trascendere nelle sequenze finali per inserirla, con immensa emozione, in un contesto drammaticamente attuale. Durante il funerale del vecchio David (il reduce sulle lettere del quale si è costruita l'intera pellicola), nell'Inghilterra di oggi, gli bastano come al solito poche immagini essenziali - il pugno di terra nella fossa, qualche fazzoletto rosso, i pugni ancora che si alzano alle note dell'Internazionale - per far scattare la molla dei significati delle emozioni. Perché? Perché gli è bastato allargare la forchetta del tempo e costringerci ad entrarvi, farci partecipi del trascorrere degli anni e del permanere dei problemi, trasformare la fine delle illusioni di allora nelle perdita degli ideali di oggi: ed introdurre così il vero soggetto del film, quello universale ed eterno della manipolazione.

Se scatta la commozione non è perché tutti gli spettatori siano diventati (figuriamoci, di questi tempi... ) improvvisamente "di sinistra": ma perché quello della manipolazione, del sentimento di essere prigionieri impotenti di una meccanica governata da chi sta al potere o, anche più vagamente, di una ricorrenza che - eternamente - sembra ritornare a premiare i potenti e dividere, punire i più deboli privati delle utopie e delle illusioni, è certamente una delle più sentite in questi ultimi anni del secolo.


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